Alternando dunque, un giorno l'Eneide, l'altro il Terenzio, in quell'anno '90, e fino all'aprile del '91, che partii di Parigi, ne ebbi tradotto dell'Eneide i primi quattro libri; e di Terenzio, l'Andria, l'Eunuco, e l'Eautontimoromeno. Oltre ciò, per sempre piú divagarmi dai funesti pensieri, che mi cagionavano le circostanze, volli disrugginirmi di nuovo la memoria, che nel comporre e stampare avea trasandata affatto, e m'inondai di squarci d'Orazio, Virgilio, Giovenale, e di nuovo dei Dante, Petrarca, Tasso, e Ariosto, talché migliaia e migliaia di versi altrui mi collocai nel cervello. E queste occupazioni di second'ordine sempre piú mi insterilirono il cervello, e mi tolsero di non far piú nulla del mio. Talché, di quelle tramelogedie, di cui doveano essere sei almeno, non vi potei mai aggiungere nulla alla prima, l'Abele; e sviato poi da tante cose, perdei il tempo, la gioventú, e il bollore necessario per una tal creazione, e non lo ritrovai poi mai piú. Sicché in quell'ultimo anno, ch'io stetti allora in Parigi, e cosí poi nei due e piú seguenti altrove, null'altro piú scrissi del mio, fuorché qualche epigrammi e sonetti, per isfogare la mia giustissima ira contro gli schiavi padroni, e dar pascolo alla mia malinconia. E tentai anche di scrivere un Conte Ugolino, dramma misto, e da unirsi poi anche alle tramelogedie, se l'avessi eseguite. Ma dopo averlo ideato, lo lasciai, né vi potei piú pensare, non che lo stendessi. L'Abele in tanto era finito, ma non limato. Nell'ottobre di quell'anno stesso '90, si fece con la mia donna un viaggietto di quindici giorni nella Normandia sino a Caen, L'Havre, e Roano; bellissima e ricca provincia, ch'io non conosceva; e ne rimasi molto soddisfatto, ed anche un poco sollevato.
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