E quel giorno stesso, poche ore prima ch'essi v'entrassero, la mia donna ed io ce n'andammo in una villa fuor di Porta San Gallo presso a Montughi, avendo già prima vuotata interamente d'ogni nostra cosa la casa che abitavamo in Firenze per lasciarla in preda agli oppressivi alloggi militari.
CAPITOLO VIGESIMOTTAVOOccupazioni in villa. Uscita dei francesi. Ritorno nostro in Firenze. Lettere del Colli. Dolore mio nell'udire la ristampa prepararsi in Parigi delle mie opere di Kehl, non mai pubblicate.
In tal maniera io oppresso dalla comune tirannide, ma non perciò soggiogato, me ne stetti in quella villa con poca gente di servizio, e la dolce metà di me stesso, ambedue indefessamente occupati nelle lettere, che anch'essa sufficientemente perita nella lingua inglese e tedesca, ed egualmente poi franca nell'italiano che nel francese, la letteratura di queste quattro nazioni conosce quant'è, è dell'antica non ignora l'essenza per mezzo delle traduzioni in queste quattro lingue. Di tutto dunque potendo io favellare con essa, soddisfatto egualmente il core che la mente, non mi credeva piú felice, che quando mi toccava di vivere solo a solo con essa, disgiunti da tutti i tanti umani malanni. E cosí eramo in quella villa, dove pochissimi dei nostri conoscenti di Firenze ci visitavano, e di rado, per non insospettire la militare e avvocatesca tirannide, Che è di tutti i guazzabugli politici il piú mostruoso, e risibile, e lagrimevole ed insopportabile, e mi rappresenta perfettamente un tigre guidato da un coniglio.
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