Venne l'ottobre, e il dí 15 d'esso, ecco di nuovo inaspettatamente in tempo di tregua fissata con l'imperatore, invadono i francesi di nuovo la Toscana, che riconoscevano tenersi pel granduca, col quale non erano in guerra. Non ebbi tempo questa volta di andare in villa come la prima, e bisognò sentirli e vederli, ma non mai altro, s'intende, che nella strada. Del resto la maggior noia e la piú oppressiva, cioè l'alloggio militare, venni a capo presso il comune di Firenze di farmene esentare come forestiere, ed avendo una casa ristretta e incapace. Assoluto di questo timore che era il piú incalzante e tedioso, del resto mi rassegnai a quel che sarebbe. Mi chiusi per cosí dire in casa, e fuorché due ore di passeggiata a me necessarie, che faceva ogni mattina nei luoghi piú appartati e soletto, non mi facea mai vedere, né desisteva dalla piú ostinata fatica.
Ma se io sfuggiva costoro, non vollero essi sfuggire me, e per mia disgrazia il loro generale comandante in Firenze, pizzicando del letterato, volle conoscermi, e civilmente passò da me una, e due volte, sempre non mi trovando, che già avea provvisto di non essere repperibile mai; né volli pure rendere garbo per garbo col restituir per polizza la visita. Alcuni giorni dopo egli mandò ambasciata a voce, per sapere in che ore mi si potrebbe trovare. Io vedendo crescere l'insistenza, e non volendo commettere ad un servitor di piazza la risposta in voce, che potea venire o scambiata o alterata, scrissi su un fogliolino; che Vittorio Alfieri, perché non seguisse sbaglio nella risposta da rendersi dal servo al signor generale, mettea per iscritto: che se il generale in qualità di comandante di Firenze intimavagli di esser da lui, egli ci si sarebbe immediatamente costituito, come non resistente alla forza imperante, qual ch'ella si fosse; ma che se quel volermi vedere era una mera curiosità dell'individuo, Vittorio Alfieri, di sua natura molto selvatico non rinnovava oramai piú conoscenza con chicchesia, e lo pregava quindi di dispensarnelo.
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