Il generale rispose direttamente a me due parole in cui diceva che dalle mie opere gli era nata questa voglia di conoscermi, ma che ora vedendo questa mia indole ritrosa, non ne cercherebbe altrimenti. E cosí fece; e cosí mi liberai di una cosa per me piú gravosa e accorante, che nessun altro supplizio che mi si fosse potuto dare.
In questo frattempo il già mio Piemonte, celtizzato anch'egli, scimmiando ogni cosa dei suoi servipadroni, cambiò l'Accademia sua delle Scienze, già detta Reale, in un Istituto Nazionale a norma di quel di Parigi, dove avean luogo, e le belle lettere, e gli artisti. Piacque a coloro, non so quali si fossero (perché il mio amico Caluso si era dimesso del segretariato della già Accademia), piacque dico a coloro di nominarmi di codesto Istituto, e darmene parte con lettera diretta. Io prevenuto già dall'abate, rimandai la lettera non apertala, e feci dire in voce dall'abate che io non riceveva tale aggregazione; che non voleva essere di nessuno, e massimamente d'una donde recentemente erano stati esclusi con animosa sfacciataggine, tre cosí degni soggetti, come il cardinale Gerdil, il conte Balbo, ed il cavalier Morozzo, come si può vedere dalle qui annesse(17) lettere dell'amico Caluso, non adducendo di ciò altra cagione, fuorché questi erano troppo realisti. Io non sono mai stato, né sono realista, ma non perciò son da essere misto con tale genia; la mia repubblica non è la loro, e sono, e mi professerò sempre d'essere in tutto quel ch'essi non sono.
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