Sicché il buon abate, venuto cosí a Firenze, e trovatomi per fatalità in letto, come mi ci avea lasciato quindici anni prima in Alsazia, che non c'eramo piú visti, mi fu dolce, ed amarissimo il rivederlo essendo impedito, e non mi potendo né alzare, né muovere, né occupare di nulla. Gli diedi però a leggere le mie traduzioni dal greco, le satire, ed il Terenzio, e il Virgilio, ed in somma ogni cosa mia fuorché le commedie, che a persona vivente non ho ancora né lette, né nominate, finché non le vedo a buon termine. L'amico si mostrò sul totale contento dei miei lavori, mi diede in voce, e mi pose anche per iscritto dei fratellevoli e luminosi avvisi su le traduzioni dal greco, di cui ho fatto mio pro, e sempre piú lo farò nel dare loro l'ultima mano Ma intanto sparitomi qual lampo dagli occhi l'amico dopo soli ventisette giorni di permanenza, ne rimasi dolente, e male l'avrei sopportata, se la mia incomparabile compagna non mi consolasse di ogni privazione. Guarii nell'ottobre, ripigliai subito a verseggiar le commedie, e prima dei [...] decembre, le ebbi terminate, né altro mi resta che a lasciarle maturare, e limarle.
CAPITOLO TRIGESIMOPRIMO
Intenzioni mie su tutta questa seconda mandata di opere inedite.
Stanco, esaurito, pongo qui fine ad ogni nuova impresa; atto piú a disfare, che a fare,
spontaneamente esco dall'epoca quarta virile, ed in età di anni cinquantaquattro e mezzomi do per vecchio, dopo ventotto anni di quasi continuo inventare, verseggiare,
tradurre, e studiare - Invanito poi bambinescamente dell'avere quasi che spuntata
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