saprò con mano generosa, e forteforse smentire i suoi decreti ingiusti:
non creder già, che sol d'amante il corealberghi in sen, ch'ancor quel di Regina
nobile, e grande ad alto fin m'invita,
l'infamia ai vil, morte all'ardir si aspetta,
dubbia non è fra questi due la scielta,
ma almen, potessi, ancor di Marco,(30)
dimmi, nol rivedrò? per lui rovino,
lassa, morir senza di lui degg'io?
E su questo bell'andare proseguiva questo bel dramma, finché vi fu carta: e pervenne sino a metà della prima scena dell'atto terzo, dove o cessasse la cagione che facea scriver l'autore, o non gli venisse piú altro in penna, rimase per allora arrenata la di lui debil barchetta, troppo anche mal allestita e scema d'ogni carico, perch'ella potesse neppur naufragare.
E parmi che i versi fin qui ricopiati sian anche troppi, per dare un saggio non dubbio del saper fare dell'autore nel gennaio dell'anno 1774.
APPENDICE SECONDA
(cap. XV)
PRIMO SONETTO
Ho vinto alfin, sí non m'inganno, ho vinto:
spenta è la fiamma, che vorace ardevaquesto mio cuor da indegni lacci avvinto
i cui moti l'amor cieco reggeva.
Prima d'amarti, o Donna, io ben sapevach'era iniquo tal foco, e tal respinto
l'ho mille fiate, e mille Amor vincevasí che vivo non era, e non estinto.
Il lungo duol, e gli affannosi pianti,
li aspri tormenti, e i crudei dubbi amarionde s'intesse il viver degli amanti
fisso con occhi non di pianto avari.
Stolto, che dissi? è la virtú fra' tantisogni, la sola i cui pensier sian cari.
APPENDICE TERZA
Lettera del Padre Paciaudi
Mio Stimat.mo ed Amat.mo S.r Conte.
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Regina Marco Donna Amor Padre Paciaudi Stimat Amat Conte
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