ch'Apolline vuol esser corbellato.
M'accingerò de' vizi a voi cantare.
No, che reggono il mondo, e a me potrebbeda ciò, biasimo e lutto ridondare.
Della virtude adunque: è contrabbando,
e tanti gli han imposta la gabella,
che quasi non si trova anche pagando.
Dirò della bellezza delle donne?
Ah quanto dicon piú quei dolci sguardiche additan che son Angeli fra gonne.
Canterò della vita ogni vicenda,
ma se la vita è un sogno molto breve,
le vicende d'un sogno, e chi le intende?
Dé ricchi canterei se avessi frontecome l'hanno i poeti tutti quanti,
e poi già tai menzogne a voi son conte.
Dirovvi della morte; oh quanto è tristanon ne vorreste udir neppur parola,
ma nel pensarci mai, nulla s'acquista.
Dirò di quest'alloro qualcosettail qual cingemi il crin modestamente.
Zitto, ch'io mel donai, lo strappo in fretta.
Farovvi di miseria un quadro bello.
È ver che non è vizio eppur si fugge,
né se ne parla mai: dov'ho il cervello?
Della felicitade, oh bel soggetto:
la va cercando ognun, chi l'ha trovatadi grazia me lo dica, ch'io l'aspetto.
Tema piú bello ancor: volete udirlo?
quest'è la vanità: ma non lo cantopotrei parlar di me senza sentirlo.
Dirò che sono un pazzo, e ben m'avvedoche lo dite voi tutti anche tacendo.
Finisco, per non dir, ch'anch'io lo credo.
APPENDICE QUINTA
(cap. XV)
CLEOPATRA SECONDA
SCENA PRIMA Diomede, Lamia
DIOMEDEE fia pur ver', che neghittosi, e vili
traggon gli Egizi, in ozio imbelle, i giorniallor che i scorni replicati, e l'onte
dovrian destar l'alme a vendetta, e all'ire?
Cleopatra, d'amor ebra, e d'orgoglio
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