piú adorno oggetto, non che di beltate,
ma d'ogni laude piú splendente, o vera?
Piú direi per mostrare qual amico ei fosse, qual perdita abbiam noi fatta, e l'Italia. Ma pietà vuole ch'io sopprima le lagrime per non concitarnele piú dolorose, consolandole piuttosto col rammentare che ne' suoi scritti ci resta immortale il suo ingegno, e l'immagine viva di quella grand'anima, la quale assai chiaramente effigiata risplende già pur ne' libri da lui pubblicati. Ond'anche meno ci dee rincrescere ch'ei non abbia potuto ripulire questa sua storia e che, anzi ne sia la Seconda Parte soltanto un primo getto della materia minutata con frettolosa mano e con postille e richiami, cosicché non è facile porvi a luogo ogni cosa, e leggerla rettamente.
Ma non v'è pericolo che perciò alcuno faccia della facoltà di scrivere del Conte Alfieri minor concetto. Onde quello, che dianzi ho accennato, di voler qui soggiungere alcuna scusa, non riguarda la dettatura, ma le cose. Alfieri in queste carte si è dipinto qual era; né chi scevro d'ogni rugginoso affetto leggeralle, altra idea ne trarrà che la verace. Ma l'acerbità del suo disegno in piú d'un tratto può molti offendere. La quale se non si scorgesse in alcun altro suo scritto, basterebbe, come ho detto, e la Signora Contessa fa, non lasciar veder questi fogli che a qualche sicuro amico. Ma poiché i motivi che hanno a rendergli avversi molti animi, già sono pubblici in altri suoi libri, e lo splendore della sua gloria già basta a concitargli contro gran fiel d'invidia, e po' poi queste carte, comunque custodite, pur possono venire in mano di men benevoli, sarà bene apporvi un poco di contravveleno.
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