Dico adunque distinguersi due ragioni di lode, quella di sommo, e quella d'irreprensibile, delle quali essendo la seconda in questo misero mondo rarissima eziandio nella mediocrità, nel sommo non v'è richiesta. Ora al sommo sempre sospingevasi Alfieri, e fra i piú nobili affetti, che l'amor di gloria in quel gran cuore incendeva, fu sommo l'amore di due cose, ch'ei non sapea distinguere, patria e libertà civile. Vero è che un filosofo disimpegnato nella monarchia è piú libero assai che il monarca; né io mai altra libertà ho per me bramata, né avuti a sdegno i doveri di suddito fedele. Ma quando ai sovrani piace venir chiamati padroni dai sudditi tutti, pur troppo è facile che taluno si cacci in capo fortemente non potervi essere libertà civile, dove il diritto di volere è d'un solo. Con questo inganno avvampava Alfieri dell'amore di patria libera, il quale, dalla parte al tutto passando, egli stendeva a incensissimo desiderio dell'italica libertà, la quale ei non voleva disperare che possa ancora, quando che sia, gloriosamente risorgere. Però sembrando allora che nulla piú fosse in grado di ostarvi che la potenza francese, contro ai Francesi abbandonossi a un odio politico, ch'ei credé poter giovar all'Italia, quanto piú fosse reso universale. Voleva inoltre sceverarsi da quegl'infami, che mostratisi per la libertà come lui caldissimi, ne han fatto con le piú abbominevoli scelleratezze detestare il partito. A chi meno ha passione egli è chiaro ch'ei non dovea cosí generalmente parlare senza distinzioni di buoni e rei; né ragionevole al giudizio di un freddo filosofo è mai l'odio di nazione alcuna.
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