Secondo la disposizione d'animo che in noi era, veniva prescelto ora uno ed ora un altro de' nostri poeti. Ed anche talora venivano in campo i poeti di quella nazione, da cui ci sono fornite tante gentilezze per lo spirito e per la persona. Parte si leggeva, parte si ragionava, dicendo noi liberamente quello che di ciascuno ci paresse. Né mai ci pareva più armonioso un verso perché antico, né meno gentile un pensamento perché forestiero.
Un giorno che cadde il discorso sulla poesia inglese, io uscii a dire alcuna cosa del robusto pensare del Miltono, del Dryden, e singolarmente del Pope, in cui vede la Inghilterra il suo Orazio, e il cui stile è di tanto ingagliardito dalla filosofia. Di più non ci volle, perché si accendesse la Marchesa nel desiderio di assaggiarne alcuna cosa; tanto più che assai facilmente si persuadeva che quella nazione, la quale avea così amica Minerva, non avesse ad aver per nemiche le Muse. Io, che nulla altro cercava che fare in ogni cosa la voglia sua, mandai tosto per un volume delle opere del Pope, che recato avea meco alla campagna: né attesolo gran fatto, potei introdurre alla presenza della più graziosa donna d'Italia le Muse inglesi. Scorsi i titoli delle poesie, che in quel volume erano contenute: piacque alla Marchesa di udire in primo luogo un'oda in lode della musica, composta dal Pope per solennizzare quel giorno, che così in Inghilterra come in Italia è sacro a' filarmonici: e sì io mi feci a recarla nel volgar nostro il meglio che per me si potea.
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