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      Di tanto mi ricorda: ch'egli era posto a rincontro d'una finestra, e sospeso dalla volta della stanza; e ch'era proprio un piacere a veder per esso la campagna e il cielo, come un tappeto o un panno di mille colori. - Anche di questo - io risposi - voi avete in pronto la spiegazione. Quel vetro a tre facce, che voi dite, fatto come quegli stipetti che sogliono porsi negli angoli nelle stanze, si chiama prisma. Guardando a traverso di esso le cose, noi le veggiamo pezzate di vari colori; e ciò in virtù di nuove e varie modificazioni, che valicando per esso ricevono i globetti di luce, che sono ribalzati da' corpi. Fategli acquistare o perdere del moto di rotazione, secondo che qua vedete un colore, e là un altro; è fatto ogni cosa. Ma quanto a quella distinzione accennata da voi, Madama, tra i colori veri, e gli apparenti, non troverete alcun filosofo che possa usarvi l'agevolezza di farvela buona: io dico, né anche il vostro Cartesio. Il quale vi dice risolutamente che il porporino d'una bella guancia e quello del prisma o dell'iride, non sono altro che rotazioni di globetti; sono tutti colori apparenti, non reali; tutti di un modo, quanto all'essere, se non quanto agli effetti che producono. In somma ogni qualità di colori non sono altro che semplici fenomeni, che appaiono con la luce; e tolta via quella, non son più. - Volete dire - replicò la Marchesa - che non sono più veduti. Come si potria pensare che i colori di quel quadro non sono più, un'ora o due appresso il cader del sole?


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
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