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      A ogni cosa si aperse il Neutono la via, reso dalle difficoltà medesime più animoso e sagace. A tal fine pigliò due lastre di vetro, l'una piana da amendue i lati, l'altra piana da un lato, e dall'altro rilevata alquanto o convessa. Il convesso dell'una pose sopra uno de' piani dell'altra, soavemente comprimendole insieme; e in tal positura le fermò. Ora quelle lastre congegnate a quel modo postele in faccia al sole, osservava, nel punto del loro combagiamento o contatto, trovarsi una picciola macchia nera; e questa esser cinta da alcuni anelli diversi di colore, quale violato, qual rosso, qual giallo o doré; i quali formati venivano dal lume, che rifletteva tutto intorno la falda o laminetta d'aria, che tra quelle due lastre era come contenuta e compresa. Altri simili anelli di vario colore apparivano traguardando a traverso le lastre; e questi erano formati dal lume ch'essa laminetta trasmetteva. La varietà del colore procedeva qui ancora dalla varia grossezza della laminetta d'aria: picciolissima verso il contatto delle lastre, e gradatamente maggiore verso le estremità delle medesime, tanto che a ciascuno di quegli anelli, così dal lume trasmesso, come dal riflesso formati rispondeva nella laminetta d'aria una certa grossezza maggiore o minore, secondo che più o meno largo era l'anello. Per meglio poi determinare quali grossezze a ciascun colore rispondessero, si pensò il Neutono di porre quelle lastre ora in uno ed ora in un altro de' lumi primitivi od omogenei della immagine solare, dove gli anelli tutti erano di un color solo, di quel medesimo cioè che sulle lastre batteva: rossi, se quello era rosso; azzurri, se azzurro, e così degli altri.


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Dialoghi sopra l'ottica neutoniana
di Francesco Algarotti
pagine 223

   





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