- Molto felice - disse qui la Marchesa - sarebbe la loro condizione; e un idiota di Giove potrebbe esser collocato alla testa delle più famose università e accademie della terra. Ma forse voi fate come quei viaggiatori, che vanno tanto magnificando le virtù di certi popoli del nuovo mondo, che ce gli farebbono credere più che uomini, e non sono altro in sostanza che selvaggi. - Non per tutto questo, - io risposi - noi avremmo da portare invidia agli abitanti di Giove. Si potria dare che vedessero meglio di noi che cosa sono in se stessi i colori, ma non ne godessero come noi, quando misti gli vediamo su una bella guancia; e se più distintamente di noi conoscono le attrazioni del cielo, forse quelle più dolci della terra non sono da essi così vivamente sentite come da noi. Se si ha a dar fede al piacevole storico di quei mondi, in quel pianeta, dove non sono rattristati da Marte, non han però Venere che gli consoli: e in ogni cosa ci sono dei compensi; e ben noi saremmo i male accorti a volerci sopra i nostri difetti tormentar l'ingegno, e pigliar malinconia. Non ci mancheranno né piaceri, né cognizioni, se dei sensi, che ne sono toccati in sorte, faremo quell'uso che si conviene. E già voi, Madama, ne sapete assai più che, al dire di molti, non è mestieri a una dama; voi che sopra un versetto, sopra una luce settemplice avete pur voluto un comento, che bastar potrebbe a un poema sulla filosofia neutoniana. - Come, - disse mezzo sorridendo la Marchesa - potrei io dunque credere di saperne tanto da esser anch'io del bel numero de' seguaci del gran Neutono?
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