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      Volle seguire strettamente la massima, che "quando gli autori parlano di sé stessi, sempre alle loro attestazioni prima che alle altrui devesi ricorrere"; la quale massima per verità non avrebbe escluso un ricorso serio alle attestazioni altrui, trattandosi di un autore imputato di fatti gravissimi, in pericolo di pessima morte, e quindi in necessità di difendersi anche nascondendo e ingarbugliando il vero. Trasportato da baldanza giovanile e da affetto impetuoso, il D'Ancona emulò il Baldacchini negli sdegni contro il Giannone, pescò appena, per deriderla, qualche strana, o maligna, o insulsa testimonianza inserta negli Atti giudiziarii, abbracciò tutti in un fascio i ricordi de' processi sofferti dal Campanella in tempi e luoghi diversi, e conchiuse sommariamente essere "inventata la congiura...; mattissima accusa che per mezzo de' Turchi volesse piantar la repubblica...; impossibile ch'egli volesse farsi Re...; impossibile ch'egli volesse proclamar nuova legge e nuova religione...; ribalderia credere ch'egli macchinasse col Turco...; sciocchezza presumer un'alleanza fratesca" etc. etc.(7). Non credè di dover porre a riscontro della Narrazione del Campanella una narrazione condotta con elementi cavati dagli Atti giudiziarii; percorse questi Atti, pubblicò anche due di essi come abbiamo già riferito più sopra, e per gli altri si limitò a ripetere l'annunzio che li avrebbe pubblicati il Centofanti; ma degli Atti medesimi da lui pubblicati, come di quelli percorsi, non mostrò di avere acquistata una conoscenza chiara.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Primo
di Luigi Amabile
pagine 725

   





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