Così nella conclusione della causa il tribunale locale era quasi una comparsa, e nel pronunziare la sentenza dichiarava di farlo "visti e considerati i meriti della causa ed in vigore delle lettere venute da Roma" sotto la tale data. Ma spessissimo pure la Sacra Congregazione richiamava a sè la causa, ed allora, compiuta la prima parte del processo, il prigioniero era inviato alle carceri del S.to Officio di Roma, dopo che n'era stato già inviato il processo: del resto anche la Nunziatura con lo stesso metodo si sbrigava volentieri de' suoi prigioni, per evitare l'ingombro delle carceri insufficienti al bisogno. Una feluca privata soleva fare questo commercio di trasporto mediante un compenso di sei scudi per capo, ma quando c'erano prigioni di polso da dover mandare, vi s'impiegava una così detta fregata armata col compenso di scudi dieci per capo: ed a quel tempo il padrone della feluca, la quale conoscevasi anche col nome di barca del S.to Officio, era un Vincenzo Sguella ossia Sgueglia, essendo venuto più tardi in campo quel Geronimo della Briola ossia de Labriola, che Francesco Palermo ci fece conoscere con un documento da lui pubblicato(97). Si trovano con molta frequenza per ciascun anno gli esempî di siffatti invii, sì da parte del Nunzio come da parte del Vicario Arcivescovile e di Mons.r Baldini, e può ritenersi per certo che pel Campanella le cose non andarono diversamente. Formato il processo e mandatolo a Roma, egli dovè essere consegnato in catene a Vincenzo Sgueglia sulla feluca del S.to Officio, ed in tale condizione ben trista dovè fare il suo viaggio all'alma città. Ad ogni modo non vi andò di certo spontaneamente, fuggendo
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