- Come si vede, nello splendido elogio non mancavano macchie di tinta molto oscura, d'onde emergeva che sarebbe stato meglio per lo meno non aver fretta a legarsi con questo giovane, il quale sprezzava troppo Aristotile, oltrechè poteva trovarsi compromesso con Roma essendo Telesiano: e resti chiarito che non solo da quegl'infelici frati di Calabria, ma anche da questo pezzo grosso di Toscana, dove pure si era menato tanto scalpore pel Platonismo, il Campanella venne avversato, e furbescamente avversato, per le sue dottrine antiaristoteliche. Essendo stato sempre sagacissimo, dai discorsi tenuti il Campanella dovè capire la posizione e decidersi ad andar via senza ritardo; tanto più che conosceva pure essersi scritto al P.e Generale, e naturalmente aveva da attendersi poco di bene da quest'altra parte. Non lasceremo di dire che i due letterati, co' quali il Campanella ebbe a discorrere nella Biblioteca in presenza del Valori, furono con ogni probabilità Ferrante de' Rossi e il P.e Medici, da lui ricordati tanti anni dopo nella lettera che pubblicò il Fabroni: il P.e Medici specialmente dovè essere quel Teologo fiorentino col quale egli disputò intorno alle anime de' bruti ed alla vita futura di esse, avendo il fiorentino sostenuto che quelle anime nella fine del mondo sarebbero risuscitate ed avrebbero avuto premio o pena, secondochè il Campanella medesimo ci lasciò scritto nella nuova composizione che ebbe a fare della sua opera De sensu rerum(110).
Nella stessa data del 15 ottobre il Campanella scriveva una lettera al Gran Duca ed un'altra all'Usimbardi.
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