Naturalmente noi spigoleremo fin d'ora anche nelle dette poesie, intorno alle quali basti qui dichiarare che si trovarono in un manoscritto emerso nel processo di Napoli il 1602, manoscritto appartenente ad un altro caro amico del Campanella ed egualmente carcerato (fra Pietro Ponzio, germano di fra Dionisio), che ne fece raccolta fino al 2 agosto 1601, divulgandole anche sotto mano per Napoli a gloria dell'amico suo. Non abbiamo ad occuparci di poesie latine, poichè di esse non è pervenuta alcuna fino a noi, e quanto a poesie italiane con metro latino, le sole tre che ci rimangono non possono dirsi di questo periodo, siccome è chiaro anche dalle note che l'autore medesimo vi appose; ma in quelle con metro comune crediamo che ve ne sia taluna appartenente al periodo in esame. Così il Sonetto intitolato "Al carcere" ci sembra chiaro doversi riferire al carcere di Roma, non già a quello di Napoli come da tutti è stato creduto(134): si badi infattialla 2a strofa di esso e alla chiusa:
Come và al centro ogni cosa pisante
. . . . . . . . . . . . . .
Così di gran scienza ogn'un amanteche audace passa dalla morta gora
al mar del vero di cui s'innamoranel nostro hospitio al fin ferma le piante.
. . . . . . . . . . . . . .
che qui non val saper, favor ne pietaio ti sò dir; del resto tutto tremo,
ch'è rocca sacra à tirannia secreta".
Una gran scienza, con la quale si passa dalla morta gora al mar del vero, sarebbe rimpicciolita di troppo riferendola alla politica, e se la tirannia spagnuola aveva una caratteristica, questa può dirsi il non essere segreta, ma chiara e brutalmente professata: trattasi dunque piuttosto del carcere di S.to Officio, e la nota apposta al Sonetto aiuta anche ad intenderlo; poichè dicendo essa semplicemente "è chiaro", eccita a considerare di quale specie di carcere si tratti, mentre non era stato creduto conveniente qualificarlo.
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