Angelo Marrapodi, di Orazio Santacroce e Camillo Adimari(425). Costoro, come si espresse il Mastrodatti nelle scritture che possediamo, deposero nel modo medesimo del Gagliardo: solamente il Marrapodi aggiunse di non aver voluto condiscendere, e di aver avuto dal Pisano la raccomandazione che almeno non dicesse nulla; l'Adimari, dal canto suo, aggiunse che non l'aveano rivelato prima perchè non gli diedero credito, e quando udirono essere stato carcerato il Campanella, tennero quelle cose per vere e le rivelarono al Principe. Tutto per verità induce a credere che costoro, compreso il Conia, non avessero condisceso in modo formale alle premure del Pisano, il quale, come vedremo a suo tempo, sul punto di morire li scusò interamente, nominandoli ad uno ad uno e tralasciando solo il nome del Gagliardo.
Veniamo all'esame di Cesare Pisano(426). Intorno a costui sappiamo che fece la sua deposizione, ebbe il tormento, ratificò la confessione fatta in tormento e nello stesso giorno fu sottoposto a un nuovo esame che porta la data di Squillace 24 settembre: abbiamo dunque una data certa che ristabilisce la cronologia precisa del nostro racconto. Nella deposizione il Pisano cercò di vendicarsi del Gagliardo. Disse che non conosceva il Campanella nè fra Dionisio, ma solo il Bitonto, il quale gli era cugino; che col Bitonto erano venuti alle carceri di Castelvetere due altri frati, uno de' quali seppe dal Gagliardo essere il Campanella, e vide que' frati e il Gagliardo parlare un pezzo segretamente, e quindi Felice gli disse che aveano parlato di negromanzia lodandogli il Campanella come un grande uomo.
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