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      Negò poi di professare i detti errori e disse di averli manifestati a que' compagni di carcere "per indurli o confirmarli alla rebellione temporale", attribuendo a fra Dionisio l'averglieli insegnati in que' viaggi ad Oppido, Bagnara e Messina, e poi a Stignano ed a Stilo, nei quali l'accompagnò insieme col Bitonto. E qui fece un'altra volta la noiosa ripetizione di tutte le cose dette, nel modo in cui le aveva espresse fra Dionisio, dal quale solamente affermò di averle udite, mentre gli altri frati plaudivano. Circa i suoi compagni di carcere in Castelvetere, manifestò l'opinione che Felice Gagliardo non solo professasse quegli errori ma anche ne sapesse più di lui, essendone stato istruito dal Bitonto, e così pure Orazio Santacroce "al quale aveano confidata ogni cosa" e dal quale udì che gli piaceva la ribellione progettata da' frati perchè volea vendicarsi del Vescovo di Gerace ed ammazzarlo con le sue mani! Finì dunque per accusare anche il Bitonto, mostrandosi, da parte sua, pentito di aver manifestato quegli errori. Da ultimo interrogato se avesse conosciuto il Campanella e se gli avesse mai parlato, disse di averlo veduto soltanto per dodici ore, quando da Monasterace lo accompagnò a Stilo insieme co' frati, i quali lo presentarono a fra Tommaso come uno degli amici, e fra Tommaso, perchè erano a cavallo, si volse a lui e disse "bene, bene", e non iscambiarono altre parole.
      Si passò quindi all'esame di Caccìa(471). Costui disse egualmente trovarsi carcerato "per causa della rebellione procurata in questi Stati"; ma i Giudici gli vietarono di proseguire e gli ordinarono di rispondere alle interrogazioni, ed egli disse di credere che veniva esaminato "per conto delle cose di fra Thomaso Campanella et di fra Dionisio Pontio et di fra Gio.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Primo
di Luigi Amabile
pagine 725

   





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