291. Ripetiamo che il relapso dovea sempre morire, pur quando si fosse mostrato penitente (ved. anche Eymericus, Directorium Inquisitorum Romae 1578, pag. 387; Masini, Sacro Arsenale, Roma 1639, pag. 308 e 331). E così noi ci spieghiamo che simili disgraziati, tenuti a lungo in carcere stretto ed oscuro, con ceppi maniglie e catena, e continue prediche che ricordavano loro come l'anima sarebbe bruciata anch'essa dopo l'abbruciamento del corpo (secondo le prescrizioni della giurisprudenza inquisitoriale), difficilmente si pentivano, e rimanevano piuttosto esasperati dall'indugio che si frapponeva alla loro morte; onde poi andavano al supplizio con superbo disdegno e con gioia feroce, tanto da dovergli applicare un freno alla lingua che chiamavasi "giova", come di fatto si conosce essere avvenuto incredibilmente spesso.
(119) Ved. Doc. 401, pag. 482 e 498.
(120) La proposizione del Naudeo trovasi nella lettera che egli scrisse a Gaspare Scioppio dimorante in Padova nel luglio 1639, quando gli annunziò la morte del Campanella avvenuta in Parigi: "Quas (aemulorum calumnias) nullibi gentium quam hic ubi minime conveniebat expertus est". Ved. Naudaei, Epistolae, Genevae 1667, epist. 82.a pag. 614.
(121) Ved. Doc. 332, pag. 286.
(122) Ved. l'ediz. orig.le pag. 52.
(123) Ved. Doc. 401, p. 479.
(124) Il D'Ancona (Op. cit. pag. 83) riporta un po' confusamente quest'ultimo tratto del Syntagma, che per altro non è punto chiaro: il tipografo poi gli fa anche dire Clavio per Clario, e Curzio Aldobrandini per Cinzio Aldobrandini.
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