Del rimanente è verissimo che lo stesso Vicerè esagerava l'importanza dell'affare, per magnificare il servizio reso alla Corona di Spagna e per far valere le pretensioni del potere civile verso l'ecclesiastico: ce lo dimostrano le relazioni del Residente Veneto e del Nunzio Pontificio. Il Residente, nel giorno medesimo dello sbarco de' carcerati, si diè premura di vedere il Vicerè, che gli disse il loro numero essere di 156, de' quali "ottantasei rei convinti da non poter fuggir la morte et gli altri indiciati"! Egli trasmise questa notizia al suo Governo, e contemporaneamente partecipò anche il genere di morte ideato dallo Spinelli per Maurizio (ciò che farebbe credere essergli stato del pari comunicato dal Vicerè), partecipò il supplizio inflitto a sei de' carcerati sulle galere, ed aggiunse che il Campanella ed il Ponzio negavano la ribellione ma confessavano l'eresia, per tentare, come credevasi, di "prolongar la pena con esser condotti a Roma"; quest'ultimo apprezzamento usciva in campo per la prima volta e potè forse provenire dal medesimo Vicerè, ma senza dubbio il fatto era riferibile agli altri frati e clerici e non già a' due che venivano citati. Il Nunzio poi avea veduto anche prima il Vicerè, "havendo... havuto notitia che le Galere erano a Nisida per entrar al notte (sic) in porto", allo scopo di ricordargli che ordinasse al carceriere del Castello di tenere a sua istanza gli ecclesiastici carcerati, i quali avea saputo essere al numero di 14 (al di sotto del vero); e il Vicerè gli disse che tutti i carcerati erano 160, che tra gli ecclesiastici vi erano 8 clerici selvaggi della diocesi del Vescovo di Mileto (la qual cosa non era vera), che aveva anche qualche indizio contro il Teologo di quel Vescovo (tale era stato nell'anno precedente il Campanella), e perciò scrivesse al Vescovo di venire a Napoli insieme col Teologo, aggiungendo che farebbe tenere i carcerati nel Castello ad istanza di lui, ma in quanto alla congiura era necessario l'intervento di qualcuno de' suoi ufficiali negli esami.
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