Ricordiamo che, nel settembre, il Vicerè aveva espresso desiderio che si mandasse in Calabria un delegato del Nunzio, il quale sarebbe intervenuto negli esami degli ecclesiastici da farsi innanzi agli ufficiali Regii, e da Roma si era scritto che la causa degli ecclesiastici dovea farsi in Napoli dal Nunzio, vale a dire nel modo normale: ora, venuti i carcerati in Napoli, il Vicerè affacciava la medesima pretensione, ma naturalmente sotto forma diversa e senza dubbio più temperata, e per appoggiarla metteva innanzi, ad occasione del processo di congiura, i clerici selvaggi, Mons.r di Mileto e il suo Teologo, mentre sapeva bene che non c'era alcuna relazione tra essi e la congiura. Da ciò si vede pure che non nacque allora la contesa giurisdizionale, siccome scrissero poi il Parrino e il Giannone, ma soltanto si rinfocolò, non potendo nemmeno entrare in mente che per vederla nascere dovessero passare oltre due mesi, quando tra l'uno Stato e l'altro non si faceva che lottare per la giurisdizione ogni giorno. Il Nunzio non tardò a trasmettere a Roma le pretensioni del Vicerè, tanto sul modo di formare il tribunale, quanto sul far venire a Napoli Mons.r di Mileto, e in tale circostanza partecipò le esecuzioni fatte, aggiungendo che avea mandato una prima volta il suo Mastrodatti in Castello, e non si era potuto dargli udienza, l'avea mandato una seconda volta e gli si era detto che i carcerati erano tenuti ad istanza del Vicerè! Faceva inoltre conoscere che si era presentato a lui fra Cornelio del Monte e gli aveva consegnato gli esami raccolti in Calabria d'ordine del Card.l di S.ta Severina, annunziando che dirigevasi a Roma per dar conto del suo operato, ed egli intanto avrebbe letto questi esami per valersene a tempo opportuno.
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