D'altronde non si vede efficacemente combattuto il cumulo di testimonianze raccolte contro di lui, ma anch'esso appena attenuato e fornito di spiegazioni non sempre felici; sicchè non è pienamente negata la reità, ma solo rimpiccolita al punto da respingere per essa la pena di morte ed ammettere la pena del carcere indefinito. Mentre si propone di sostenere che non abbia cospirato, comincia col dimostrare che "non fu mosso a cospirare nè dall'ambizione nè dalla malevolenza, ma guidato dalla profezia"; intende di provare non esservi stato concerto, e frattanto parla di "coloro i quali aderirono a lui con retta intenzione", e spiega che "volle servirsi de' banditi non come nemici del Re, ma come uomini armati convertendoli al bene, e propose di servirsi anche di uomini probi non banditi"; ed è superfluo insistere sul buio fitto della natura delle mutazioni, della condizione della repubblica da fondarsi, del Regno sacerdotale unico "utile al Re prima che al Papa", dell'essersi mosso a preparare la repubblica "per istinto divino e perchè spettava a' Domenicani il prepararla", e parimente degli scopi singolari affibbiati a tale repubblica. Non riesce poi certamente a combattere i testimoni dicendoli "complici e scelleratissimi", giacchè l'esistenza del reato veniva con ciò tristamente ribadita, e per la giurisprudenza del tempo nel reato di Maestà anche i complici valevano a convincere; nè riesce esatto dicendo che "tutti ne' tormenti aveano negato di essersi accordati con fra Tommaso intorno alla repubblica" e però fra Tommaso sarebbe stato il solo a volerla, mentre invece taluni erano risultati confessi di avervi direttamente o indirettamente aderito.
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