Accettò di aver fatto molto opportunamente fuggire il Polistina quando era perseguitato da fra Dionisio (con che si accreditava come testimone a favore di costui), e confermò ad una ad una le accuse di furto, malattie e "cose di donne" addebitate al Pizzoni, mostrandosi personalmente informato di tutto. Riconobbe che il Campanella avea trattato molto col Pizzoni, ma disse di non poter entrare a giudicare se dovesse ritenersi più probabile che il Pizzoni avesse manifestate a fra Dionisio opinioni del Campanella, o invece il contrario. Affermò di avere tanto lui quanto il Petrolo saputo dal Pizzoni che fra Dionisio avea parlato di eresie disputativamente, e soggiunse essergli stato detto dal Pizzoni, nelle carceri di Monteleone, che volea ritrattarsi di quanto avea deposto contro fra Dionisio e il Campanella, allegando "molte raggioni per le quali esso havea confessato la prima volta, è fra l'altre... il timore della morte, e la speranza di libertà, l'odio che havea con frà Dionisio, et l'occasione dela soversione delle cose, che alhora pareva che il mondo tutto andasse sotto sopra" (non si poteva dir meglio); al quale proposito ritornò sulle minacce fatte da D. Carlo Ruffo, da fra Cornelio, dal Visitatore, da Ottavio Gagliardo, e ricordò quello che costoro aveano fatto contro lui medesimo. Ma la lunghezza di questo esame obbligò i Giudici a rimandarne il sèguito ad altra seduta.
L'indomani 10 novembre fu ripigliato l'esame di fra Pietro di Stilo. Ed egli continuò sull'articolo delle minacce fatte in Calabria a ciascuno de' frati inquisiti, esponendo anche a lungo gli eccitamenti avuti da fra Gio.
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