Ben potè rincrescergli che morendo rimanevano i frati senza alcuno appoggio; e dal complesso delle affermazioni del Campanella deve anche conchiudersi che il Vescovo effettivamente non faceva un mistero assoluto delle opinioni che su que' negozii si avea formate, e "se ne lasciava intendere", come il Nunzio scrisse più tardi a Roma.
Naturalmente un'interruzione si verificò nel corso del processo, non solo perchè dovè sostituirsi un nuovo Giudice al Vescovo di Termoli, ma anche perchè doverono in Roma studiarsi gli Atti processuali fin allora compiuti per mandare a Napoli istruzioni su quanto rimanesse a farsi ulteriormente. E frattanto il Governo Vicereale raddoppiò le sue insistenze, perchè si terminasse una volta la causa dell'eresia, e si potesse così spedire quella della congiura. Già abbiamo visto che fin dall'8 settembre, nel mandare a Roma la copia del processo offensivo e ripetitivo, il Nunzio avea partecipato le premure fattegli dal Vicerè e da' suoi Ministri; ma dopo di aver mandata la copia anche del processo difensivo, non cessò mai di sollecitare una risoluzione, e di far conoscere le vive istanze dei Ministri Regii e de' "Deputati insieme seco nella causa della ribellione", vale a dire anche di D. Pietro de Vera certamente dietro doglianze del Vicerè. Così nella lettera stessa di annunzio della morte del Vescovo di Termoli, e in molte altre successive, del 19 e 26 gennaio, del 2, 16 e 23 febbraio e del 15 marzo, non si trova altro che una serie di comunicazioni nello stesso senso, leggendosi: sono stato sollecitato "nè solo hora ma infinite altre volte per il passato, si che hò havuto et hò che disputare"...; "vengo di nuovo sollecitato molto per la speditione della causa de' frati"...; "son di continuo molestato da questi Ministri Regii per la speditione della causa della ribellione" etc.
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