Non parliamo poi del Sonetto a Genova nè di quello a Venezia, permettendoci solamente di ricordare ancora una volta, che da quest'ultimo, e non da ciò che dovè scrivere in certi momenti tristissimi, conviene desumere i convincimenti del Campanella intorno a quella mirabile repubblica, fondata sul sapere e sul potere, condotta senza fiacchezze sentimentali, e perciò durata tanti anni. Circa il Sonetto a Roma, conviene notarvi quel concetto osservabile
Deh non pianger l'Imperio, Italia mia,
ch'hoggi l'hai vie più certo e venerando",
mentre nel primissimo Sonetto all'Italia, composto in altre circostanze, il poeta si era doluto che non si vedeva già più "vergognarsi per l'onor di Dina" nè Simeone nè Levi. Ecco dunque uno spiccato ritorno indietro, e non di poco momento: ma non deve sfuggire che il Sonetto fu scartato quando si venne alla pubblicazione delle poesie, e si può anche osservare, che mentre ne' versi originarii della poesia menzionata più sopra e diretta "Agl'italiani" etc. si leggeva
...... la gran Roma
dove anche ha Dio suo tribunal costrutto",
ne' versi rifatti posteriormente e così dati alle stampe si lesse
E del cielo alle chiavi alfin pervenne
;
cioè a dire, fu sostituito un encomio di abilità politica ad un riconoscimento di dono soprannaturale. Circa il Sonetto "Roma a Germania", esso segna il passaggio alle poesie religiose, rappresentando una tirata contro la riforma, e questo veramente non è affatto nuovo nell'ordine delle idee del Campanella, cui la dissociazione nella fede cristiana riuscì sempre assai molesta: ma è nuovo quel tuono da pergamo accompagnato da vaticinii d'immancabile rovina, e bisogna tener presente che questo Sonetto fu pure scartato, e manifestamente uno studio dello scarto fatto riescirebbe davvero istruttivo.
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