Ben si vede che in Roma furono accolti i voti de' Giudici nel senso più mite; solo per fra Paolo furono aggiunte le penitenze salutari, e per gli altri fu accolto propriamente il voto del Vicario Arcivescovile, che si era mostrato mite più di tutti. Ma pel Campanella, pel quale non vi furono o non giunsero fino a noi i voti de' Giudici, si prese una risoluzione abbastanza difficile a spiegarsi. Secondo la giurisprudenza del S.to Officio che abbiamo già altra volta avuta occasione di ricordare, come pazzo, quale era legalmente riuscito a dimostrarsi col tormento della veglia, il Campanella non avrebbe dovuto essere condannato, ma ritenuto in carcere, fino a che o rinsavisse o morisse, potendo solo in uno di questi due casi avere una condanna (è noto che in materia di eresia anche i morti non venivano risparmiati); invece come sano di mente, per la sua qualità di relapso, avrebbe dovuto essere condannato alla degradazione e consegna alla Curia secolare, dalla quale sarebbe stato giustiziato. Il carcere perpetuo ed irremissibile, ovvero la così detta "immurazione" che avea lo stesso significato, era la pena dell'eretico pentito, e più propriamente, secondo una prescrizione del Concilio Tolosano, la pena dell'eretico, che pel timore della morte o per qualunque altro motivo, ma non di spontanea sua volontà, era tornato in grembo alla Chiesa: posto che pel timore della morte il Campanella si fosse finto pazzo, egli non avea però dato alcun segno di ritorno in grembo alla Chiesa. D'altronde la condanna al carcere perpetuo avrebbe dovuto sempre essere preceduta dall'abiura pubblica ed anche dalla degradazione, almeno verbale se non attuale, come ordinava un rescritto di Urbano IV; e di ciò, a proposito del Campanella, non si fece alcuna parola, nè realmente si vide poi alcun Atto in sèguito.
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