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      Se ci è lecito esprimere una nostra opinione, essa è, che da Roma si volle dare a questa faccenda un termine ad ogni costo, poichè con la semplice ritenzione nel carcere, per aspettare il rinsavimento o la morte del Campanella e poi venire alla condanna, la faccenda sarebbe durata indefinitamente, e questo era divenuto impossibile: si mutò quindi la ritenzione continua in carcere perpetuo sine spe, senza prescrivere l'abiura e la degradazione, che nello stato in cui il Campanella si trovava, o più veramente fingeva di trovarsi, non si sarebbe nemmeno riusciti ad effettuare, e con tale ripiego si apriva la via di dare un termine anche alla causa della congiura, essendo esaurita quella dell'eresia. La condizione poi del doversi la pena scontare nel carcere di Roma non fu nemmeno speciale, perocchè trattandosi del giudizio di un tribunale non diocesano, l'andata a Roma era di regola, e se si credè conveniente di esprimerla nella risoluzione, ciò si fece per evitare ulteriori controversie col Governo Vicereale, oltrechè per affermare quella "superiorità ecclesiastica" sempre ambita da Roma più di ogni altra cosa e non del tutto riconosciuta dal Governo in tale faccenda: d'altronde l'andata a Roma si sarebbe effettuata dopo la spedizione della causa della congiura, che non doveva essere "nè pregiudicata nè ritardata", e se per questa causa il Campanella avesse riportata la condanna della degradazione e consegna alla Curia secolare, come D. Giovanni Sances avea già chiesto, egli non sarebbe andato a Roma certamente.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





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