Malgrado tutte queste ragioni, il tribunale lo condannò a cinque anni di esilio da Napoli e da entrambe le provincie di Calabria, come avea fatto pel Contestabile, verosimilmente ritenendolo del pari sospetto di complicità nella progettata ribellione. Ognuno troverà senza dubbio un po' grave questo giudizio e la relativa condanna, poichè il Pittella avea per sè la testimonianza decisiva di Maurizio in punto di morte, attestante che egli non era nella congiura come gli altri, nè mostrava di goderne come gli altri; si vede bene quindi che il tribunale Apostolico non avea punto smesso il suo rigore, comunque il tempo trascorso avesse dovuto calmare i furori primitivi. Nè occorre dire che esso riteneva sempre la tentata ribellione qual fatto vero ed indiscutibile, mentre condannava il Contestabile e il Pittella a quel modo, donde è facile desumere abbastanza chiaramente come avrebbe trattato il Campanella e gli altri frati più compromessi. E possiamo oramai occuparci appunto di costoro.
Il Campanella e gli altri frati, avuta la condanna per l'eresia ed esauriti tutti gli Atti relativi a questa condanna, nel febbraio o tutt'al più nel marzo 1603 avrebbero potuto vedere spedita la loro causa della congiura. Ma da una parte avvenne allora un mutamento di Vicerè, succedendo il 3 aprile a D. Francesco de Castro D. Alonso Pimentel d'Herrera Conte di Benavente, e sempre, fin dalle prime notizie di prossima mutazione, gli affari d'ogni genere solevano rimanere più o meno incagliati; d'altra parte sopraggiunse direttamente, nello stesso tribunale per la congiura, una difficoltà inaspettata.
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