Senza alcun dubbio, agl'incessanti motivi di sospetto e di diffidenza venivano ad aggiungersi il risentimento e il puntiglio giurisdizionale, e bisognerebbe dimenticare tutta la storia napoletana per credere che questo risentimento e puntiglio avrebbero potuto rimanere senza conseguenze; evidentemente c'era più che non bisognasse per far ricorrere il Governo a' propositi più atroci, a fine di non lasciarsi sfuggire di mano il Campanella.
Il Nunzio non tardò a comunicare al Vicerè la risoluzione di S. S.tà, ed il 26 settembre potè ragguagliare il Card.l Borghese su quanto avea fatto(423). Egli avea mostrato a S. E., che la risoluzione presa "non alterava quello che era stato fermato co' suoi antecessori in tal negotio"; D. Pietro de Vera "doveva intervenire a tutto quello che si trattava in detta causa; solo si voleva che non apparisse più come giudice". Arrestandoci un momento su queste parole del Nunzio, osserviamo che egli non interpretava(424) fedelmente la risoluzione Papale, e la rendeva nel fatto assai meno amara; poichè ammetteva che D. Pietro sarebbe intervenuto a tutto e bastava che non apparisse giudice, mentre S. S.tà avea ritenuto non conveniente che giudicasse, ed ordinato al Nunzio che conoscesse spedisse e terminasse la causa per sè solo. Il Vicerè, che sicuramente avea avuto notizia della risoluzione originale di S. S.tà, mediante gli ufficii non mai interrotti della fazione Cardinalizia attaccata a Spagna, potè mostrarsi sereno, ma nel tempo medesimo dovè sentirsi preso sempre più da diffidenza; d'altronde era per lui molto facile vedere che a nulla avrebbe giovato il rinfocolare una quistione già pregiudicata da un solenne pronunciato del Papa, e conveniva meglio farlo cadere senza strepito, opponendovi la forza d'inerzia: ciò spiega il suo contegno nel momento, quale lo espresse il Nunzio nello scrivere a Roma, ed anche il suo contegno ulteriore, quale lo vedremo nello svolgimento successivo della faccenda.
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