Parrebbe che lo Scioppio avesse già letto qualche opera del Campanella, con ogni probabilità avuta da Cristoforo Pflugh, e che ne fosse rimasto altamente sodisfatto: così, dietro le sollecitazioni de' Fuggers, che doveano equivalere a comandi atteso l'enorme credito ed influenza di quella famiglia, dirigendosi al Campanella gli manifestava ammirazione per la prestanza sua apparsagli ne' libri suoi, gli prometteva di adoperarsi per la sua liberazione presso i Principi del Cristianesimo, gli esprimeva il desiderio di averlo a socio contro gli eretici; questo si può argomentare da un brano della lettera pubblicata poi dallo Struvio, con la quale più tardi il Campanella accompagnò l'invio di una copia delle sue opere dimandate dallo Scioppio. Naturalmente costui apparve al Campanella un Angelo, un Liberatore, un Redentore, e così trovasi chiamato sempre nelle lettere del filosofo. I nuovi documenti rinvenuti dal Berti mostrano che il 26 aprile 1607 egli era in Napoli, e scriveva al Fabre, "De Campanella in bona spe sum fore ut ei loquar, et quae velim ab eo auferam: interque coetera disputationem adversus Venetos, quam Pontifici gratissimam fore confido". Questa è la sola notizia datane finoggi, e da essa non risulta che lo Scioppio abbia visto il Campanella, ma risulta che sperava di vederlo e di carpirne tutto ciò che volesse, accennando agli Antiveneti che diceva dover riuscire assai graditi al Papa, e mirando senza dubbio agli Articoli profetali che sarebbero riusciti graditissimi a lui medesimo; troveremo infatti che egli li desiderò e li chiese per lungo tempo e per tutte le vie, mentre il Campanella, tutt'altro che facile ad essere superato in avvedutezza, l'aveva ben capito e se ne schermì fin da principio.
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