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      oppio l'avrebbe consegnata, smettendo il "timore" che lo tratteneva). In entrambe queste lettere egli press'a poco ripeteva le cose stesse tante volte dette, i segni da lui studiati, le opere composte per tale circostanza, le imputazioni avute di "volere usurpare il Regno" e di essere eretico, l'aver trovato salvezza con la pazzia, l'essere stato posto in una fossa, l'avere scritto cose mirabili e il doverne dire a voce molte di più. In ultima analisi poi, all'Imperatore chiedeva che lo facesse venire in ceppi innanzi a lui, dannandosi al fuoco se si fosse trovato mendace, ovvero procurasse di farlo andare presso il Papa o almeno presso il Re Cattolico; agli Arciduchi chiedeva di adoperarsi presso il Re, perchè volesse udirlo o farlo udire dal Papa o dall'Imperatore, sempre dannandosi al fuoco se fosse trovato mendace, ed additando lo Scioppio che avrebbe mostrato le opere e le lettere da lui scritte, e molte altre cose avrebbe esposte a voce. Ognuno avrà notato, che dalla prima all'ultima sua mossa la dimanda continua del Campanella fu sempre quella di essere ascoltato: anche dopo di avere scritto tante opere che potevano farlo ben conoscere nel senso in cui voleva essere conosciuto, egli non rifinì dal voler essere ascoltato; e perfino in una delle sue lettere allo Scioppio(496), dopo di avergli detto che i proprii libri di Metafisica gli sarebbero parsi scritti da un Angelo e non da un uomo, essendo superiori a tutti gli altri "che aveva già ricevuti", soggiungeva, "ma quando mi udrai faccia a faccia, terrai a vile anche gli stessi miei libri di Metafisica" (ciò che prova pure non aver mai avuto lo Scioppio tale occasione). Per intenderlo, bisogna ricordarsi della prepotente efficacia del suo discorso, attestata in ogni tempo e dalle persone più diverse, a cominciare dal povero Maurizio, che lo provò in Calabria e disse, "quando parla, ritira ognuno dove vuole", a finire a Vincenzo Baronio, che lo conobbe negli ultimi anni in Parigi e scrisse, "maior fuit impetu ingenii, quod in conversationibus eminebat, et in libris obscurum est et pene extinctum"(497).


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





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