Le smorte serpi al tuo raggio tornano vive,
invidio misero tutta la schiera loro".
Ancora il pensiero che trovasi nella stessa lettera, l'esser cioè il povero prigioniero "un meschino condannato dall'opinione popolare e di Principi, come il più empio e malvagio che fosse mai stato nel mondo", ci apparisce quello che ispirò i Sonetti "Della plebe" ed "A certi amici, ufficiali e Baroni" etc.; ma perfino le lettere al Papa, oltrechè l'Ateismo debellato, recano pensieri posti del pari in versi quasi letteralmente, nè possiamo far altro qui che indicare tale criterio per la ricerca delle date. E poichè abbiamo citati que' due Sonetti, vogliamo pur dire che nell'uno "Della plebe" il sentimento di un legittimo disgusto ci apparisce fin dal titolo predominante su quello della compassione, e nell'altro "A certi amici" il contesto di tutta la proposizione, là dove si dice che "un piccol vero gran favola cinge", non rende queste parole applicabili propriamente alle imprese tentate in Calabria, come è parso ad un egregio storico; nè sappiamo poi resistere alla tentazione di ricordare qui l'aurea sentenza che vi si legge, e che non è riferibile propriamente alla plebe, da cui il Campanella professava non potersi trar nulla, bensì riferibile a coloro che vanno per la maggiore:
Nè il saper troppo come alcun dir suole,
ma il poco senno degli assai ignorantifa noi meschini e tutto il mondo tristo".
Ma ciò che qui principalmente c'interessa di ricordare si è, che tutte queste poesie insieme con le altre scritte posteriormente fino al 1613, come pure le note delle quali vennero corredate dallo stesso Autore, sebbene fossero state soggette ad una scelta e non col solo criterio del merito filosofico e letterario, bensì(507) con quello pure della convenienza politica e giudiziaria, costituiscono pur sempre un fonte prezioso di ricerche sugli atti e sugl'intendimenti veri del Campanella, le notizie de' quali doverono sottostare a tanti garbugli.
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