Bisognava dare una risposta a Roma, e la risposta fu atroce, quantunque in forma più che modesta e affatto calma. Roma la comprese perfettamente e non parlò più, ma bisogna pure ammettere che essa venne ad accomodarvisi di buon grado: riuscirebbe altrimenti inesplicabile l'aver potuto tollerare in pace, nè per breve tempo bensì per anni, la violazione perfino di quanto si era convenuto fin da principio, di doversi cioè tenere il Campanella in carcere, egualmente che tutti gli altri ecclesiastici, a nome ed istanza del Nunzio, come prigione di lui; e ciò mentre quotidianamente per ogni menomo clerico, ancorchè malfattore de' più feroci, fioccavano i suoi reclami laddove si fosse verificata la più lieve infrazione dell'immunità ecclesiastica. Non occorre poi spendere molte parole per dimostrare, che essendo scorsi già varii anni dal momento del reato e della cattura del reo, al Governo doveva ripugnare l'esecuzione di una pena capitale, massime in persona di un ecclesiastico. Trattandosi di reati gravi, non appena il voluto reo era caduto nelle mani della giustizia, per canone indeclinabile si abbreviavano i termini in modo spietato, e si preferiva di andare incontro ad una condanna meno giusta, anzichè ad una condanna tardiva: la prontezza ed esemplarità della pena era ritenuta una condizione tanto necessaria, che quasi non occorreva più pensare alla pena allorchè quella condizione mancava. Un cumulo di circostanze,
non provocate ma deplorate dal Governo Vicereale, aveano prodotto un ritardo notevole, ed oramai alla pena capitale non si poteva più pensare: si devenne a ciò che dapprima il Campanella medesimo avea proposto come il migliore espediente, il carcere per un tempo indefinito, il quale fu poi anche mitigato, sia pure dietro le potenti commendatizie, e mitigato di certo ulteriormente in modo niente affatto ordinario, ma senza dubbio facendo rimanere negata la giustizia, calpestata ogni maniera di dritto.
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