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      Come abbiamo dimostrato, la condanna pronunziata dalla Chiesa nel processo di eresia non fu benevola pel Campanella, ma al contrario, e le ripetute istanze fatte perchè si sentenziasse nel suo processo di congiura, dopo di aver dato termine a quello di eresia, non erano dirette a salvarlo. Ignoriamo quali pratiche Roma abbia veramente fatte dopo un lungo, lunghissimo silenzio, a fine di ottenere il passaggio del Campanella almeno sotto l'autorità del Nunzio, come essa esigeva per ogni ordinario delinquente ecclesiastico, e come erasi convenuto fin da principio. Conosciamo soltanto con sicurezza, che pur quando si seppe indubitatamente che il processo della congiura non si trovava più essendo stato disperso o bruciato, come accadde nel 1620 a tempo del Vicerè Card.l Borgia il quale volea vederlo e non lo potè avere, nessun reclamo efficace fu sporto da Roma per uscire da una posizione tanto scandalosa. Conosciamo inoltre che perfino dopo 25 anni di carcere, durante il Pontificato di Urbano VIII, il Campanella chiedeva istantemente che il P.e Generale dell'Ordine facesse una dimanda al Re perchè lo concedesse a' Superiori, come da Spagna si desiderava per uscire dall'imbarazzo: e non avendo potuto ottenerlo, ed essendosi fatto raccomandare al potentissimo Card.l Barberini per questo, ebbe a provare che il Cardinale si acquetò facilmente alla negativa del P.e Generale, e ripetendo una proposizione emessa già dal Fabre e dallo Scioppio disse che il Campanella "stava meglio dove stava"(512). Conosciamo infine che dietro le insistenze di Mons.r Massimi Nunzio in Ispagna, fautore particolare del Campanella e carissimo al Re, venne una lettera Regia per lui, e sopra un memoriale da lui presentato si decretò in Consiglio Collaterale non la consegna al Nunzio ma la libertà provvisoria con l'obbligo di risedere nel convento di S. Domenico in Napoli; che di poi, in barba del Governo Vicereale, se ne fuggì travestito a Roma, e quivi scontò tre anni di pena nel carcere del S.to Officio, come era solito farsi pe' condannati al carcere perpetuo, senza che fossero veramente computati i 26 anni di carcere sofferti in Napoli; nè per quanto mite sia stato il carcere di Roma, si può dirlo più mite di quello di Napoli negli ultimi quindici anni, mentre in quest'ultimo era stato permesso fin l'insegnamento, che non fu mai permesso in Roma, non solo dentro, come era naturale, ma neanche fuori del carcere, consecutivamente.


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Fra Tommaso Campanella: la sua congiura i suoi processi e la sua pazzia
Volume Secondo
di Luigi Amabile
pagine 741

   





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