A paro a paro con esso veniva il duca d'Austria, statogli compagno amantissimo dall'infanzia: biondi ambo e gentili, impavidi nel sembiante, a fermo passo andavano al palco. Di porpora era coperto il palco, quasi a regia pompa; con torvi armati all'intorno; foltissimo il popolo in piazza; dall'alto d'una torre guardava quella tigre di Carlo. Salì Corradino, mostrossi, e lettagli in volto la sentenza che il chiamava sacrilego traditore, ne protestò nobilmente al popolo e a Dio. A queste parole susurrava la moltitudine un istante; e poi ghiacciata di paura tacque; stupida e scolorata affisò Corradino. Il quale nell'abbassar lo sguardo su quell'onda di spaventati volti infiniti, ghignò di amaro disprezzo, poi gli occhi alzò al cielo, e ogni terren pensiero depose. Lo scosse un colpo: vide il capo del duca d'Austria già tronco sul palco; ond'avidamente il raccolse Corradino, se lo strinse al petto, il baciò cento volte, baciò gli astanti, baciò il carnefice, pose il capo sul ceppo; e la scure piombò. Narran che prima gittasse il guanto a significar la investitura de' reami a Pier d'Aragona, genero di Manfredi; narran che il conte di Fiandra, marito d'una figliuola di re Carlo, non reggendo all'empio sagrifizio, di sua mano uccidesse Roberto di Bari fabbro e dicitore della sentenza. Ben i bizzarri costumi dell'età aggiugnerebber fede a cotesti fatti; ma più certi e atroci prendo io a narrarne, affrettandomi a uscir di tanti orrori(20).
In terraferma quanti eran rimasi fedeli a Carlo, o, dubbiosi finchè fu dubbia la vittoria, or voleansi purgar dal sospetto, fecersi giudici insieme e carnefici degli scoperti ribelli.
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