Perchč il picciol signore d'Angiņ e di Provenza, armando per tanta macchina di guerra, avea tolto in presto molto danaro, molte schiere condotto di speranza pił che di stipendio; onde gli era forza soddisfare a' conquistatori e sostegni del suo trono; e appena messovi il pič, al gran lotto diede opera(35). E nulla erano gli ufici pubblici lucrativi, ancorchč a' soli suoi li serbasse; nulla i benefici ecclesiastici, che conferiva a quei soli; di terreni, di feudi facea d'uopo. Entrņ Carlo dunque in una inchiesta strettissima dei demanī, de' baronaggi tutti, delle sostanze di Manfredi e de' suoi; non a cercare, ma a trovare vero o supposto vizio nel possedimento. A ciņ i veltri del fisco, affamati, sagaci, invidiosi, ivano in traccia, svolgean vecchie carte, su dritti e usanze cavillavano, vinceano in diligenza lo stesso re. A vetustą di possesso, a prescrizione non s'attende; richieggonsi i titoli de' feudi tutti; minacciano spogliamento gl'ingordi ministri, e per danaro acquetansi. L'hanno, e all'inchiesta, all'espilazione dopo breve tratto ritornano: feudo non fu, nč baronia che due o tre volte non si fosse ricattato in tal guisa(36). Con severitą maggiore si ricercņ de' regi demanī: orribili furono le confiscazioni per crimenlese, come innanzi dirassi. Perilchč occupando terre, e castella, e poderi innumerevoli, largheggiavane re Carlo co' suoi per feudale concessione(37); e tanti diplomi ce ne rimangon ora, che alcuno, senza badare al rapace acquisto, nč alla sforzata liberalitą coi maggiori dell'esercito, magnifico ne dice il re.
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