Si compiace al contrario a ricordare la doppia nobiltà del lignaggio d'Italia, che allude all'etrusco e al troiano, o al romano e al greco; a notar la prudenza, il contegno, la prontezza degli intelletti, la serenità de' volti, e con aperto errore anche la tolleranza degli animi italiani; chiama in aiuto Lucrezia, Virginio, Scipione; motteggiando i Francesi perchè prendessero a imitare più tosto le ispide genti del settentrione, che la civile moderazione e libertà degl'Italiani; e mostrando che la sorte dà i regni, ma la virtù li mantiene, e che più si guadagna con la saviezza che con la forza. Questo scritto batte con una stessa sferza i governi angioini di Sicilia, di Napoli, di Romagna; allude al vespro col vanto che gli stranieri non avesser dato il guasto impunemente alle campagne d'Italia: sclama al papa con veemenza: "Sdegna, o padre, l'Italia, sdegna le dominazioni straniere!" L'autore imbrattò questo nobil pensiero con l'arroganza tutta e la ferocia de' Quiriti; com'ei mescolò alla giusta difesa della rivoluzione, l'apologia di orrori che dovea condannare; ma non men fortemente ciò prova che il sentimento latino era sparso in Italia(172).
E che l'antagonismo di nazione fosse reciproco, e che fosse sentito in tutta l'Italia, si vede, tra cento altri fatti, dalle parole di Guglielmo l'Estendard, vicario di re Carlo in Roma; il quale, poco innanzi l'ottantadue, ascoltando un nobile romano che si lagnava della misera condizione della patria, non ebbe rossore a risponder preciso, squarciando il velo della tirannide: non credesse al fine che spiaceva al re veder consunto e dissipato quel popolo turbolento; Roma fatta una bicocca(173). In quel medesimo tempo una rissa accesa in Orvieto tra Latini e Francesi, divenne tumulto; e vi si gridò morte ai Francesi; e Ranieri capitano della città, portato dagli umori di nazione più che da que' dell'uficio, negossi con un pretesto dal racchetarla(174). Non andò guari che in Forlì cadeano da due mila Francesi, o per una frode di guerra, o per una meditata vendetta, che non si sa bene, ma in ogni modo è manifesto l'odio più che di giusta guerra che portò questa strage; e le favole stesse che l'attribuirono a Guido Bonati astrologo e filosofo, mostrano in che bollore fosse l'opinione pubblica(175). S'era insinuato l'odio di nazione già da gran tempo ne' penetrali della corte di Roma, tra il contegno e la senile prudenza de' fratelli del sacro collegio; che si divisero non in Guelfi e Ghibellini, ma in Latini e Francesi; e lottavano nelle elezioni de' pontefici; ed erano a tale innanti l'esaltazione di Martino, che senza la scoperta forza di Carlo, qualche altro fier latino succedeva a Niccolò III. Nel pontificato di Niccolò, la romana corte s'era data già a lacerare apertamente il nome francese.
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