Di festevole si fe' tetro: increbbero i conviti, i canti, le danze: "e mute pendeano (scrissero i Siciliani poscia a papa Martino ) pendean mute l'arpe dal caprifico e dal salice infruttuoso." - "Febbrili battean tutti i polsi, dice un'altra rimostranza del misero popolo; dubbiosi scorreano i giorni, ansie le notti, e fino i sogni conturbati dalle minacciose sembianze degli oppressori; nè viver si potea, nè pur morire tranquillo." Quel poetico brio degli animi siciliani, a cupa meditazione die' luogo, a tristezza, a vergogna, a nimistà profonda, a brama ardentissima di vendetta. Feroci passioni, che propagaronsi da chi soffriva le ingiurie in sè, a chi le vedea solo in altrui; dalli svegliati a' tardi; dagl'iracondi ai miti; dagli animosi a' dappoco; e invasarono ogni età, ogni sesso, ogni ordine d'uomini. La foga delle passioni private, l'abbaco de' privati interessi, tacquero un istante, o anch'essi drizzaronsi a quel fitto universal pensiero; più possente di ogni macchina di congiura, perchè spregia il vegliar sospettoso de' governanti, e li soperchia a cento doppi di forze(183). Così entrava in Sicilia l'anno milledugentottantadue. Alcuni cronisti, pargoleggiando col volgo, notavano, che di febbraio, mentr'era papa Martino in Orvieto, una foca presa alle spiagge di Montalto, e portata a corte del papa come nuova generazione di belva, mise muggiti sì lamentevoli e paurosi, che la gente n'agghiacciò di orrore; e dietro i successi di Sicilia, non restò dubbio esser venuto quel mostro a presagire al papa le calamità che pendeano(184)
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