E qui tocca la connivenza alla sommossa di Viterbo, e tutti gli abusi di re Carlo in Roma; e ritrova non pochi torti a Martino; e gli ricorda che, seguendo un interesse di parte, menomasse l'autorità del pontificato; che i misfatti permessi perchè piacciono, portan poi i misfatti che spiacciono; ch'ei non dovea promuovere i suoi partigiani, e trascurar le altre faccende della Chiesa; che i disordini consuman sè stessi:
la scure è alzata; accenna di percuotere; fate d'impugnarla voi stesso pria che tronchi l'albero alla radice." Con queste, e molte altre parole è esortato papa Martino a mutar via, se gli preme la sua salvazione. Alle idee, allo stile, agli eccessi della passione, l'autore sembra chierico, non ignorante, e patriotta audacissimo. Niuno potrebbe o affermare o negare che tal rimostranza si mandasse a corte di Roma, quando si conobbe chiusa la via del perdono, e altro non restava che protestare fortemente. Ma se i governanti della Sicilia non scrissero in quelle parole, scrissero per certo in que' sensi: e in ogni modo il documento che ci resta è irrefragabilmente del paese e del tempo; ha la rovente impronta della rivoluzione; estinto quel fuoco, non si potea contraffare(257).
La corte di Roma, vedendo che i Siciliani nulla non rimoveansi da' loro proponimenti, tentò nuovi consigli. Deputò con autorità straordinaria il cardinal Gherardo da Parma pontificio legato nel regno(258). "Mossi, dicea la bolla, da sviscerato amore alla Sicilia, e dolentissimi degli scandali con che il nemico dell'uman genere la vien turbando, te mandiamvi, o fratello, angiol di pace; e svelti tu, struggi, dissipa, sperdi, edifica, pianta; tutta usa l'autorità nostra ad onor di Dio e riformazion del reame(259)." L'accorgimento de' consigli sacerdotali trasparisce ancora da uno statuto promulgato di quel tempo da Carlo, dove accagionando del mal governo gli officiali inferiori, moderava i più grossi aggravî del fisco, dei magistrati, e di lor famigliari; e sì la crudeltà di alcuna legge, le usurpazioni de' castellani nelle faccende municipali, e lor violenze nei contadi(260). Lusinghe a' Siciliani eran queste; blandimenti ai popoli di Puglia e Calabria, che, dalla medesima signoria travagliati, non si muovessero all'esempio, ma grati e soddisfatti aiutassero il re.
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