L'assalto non rinnovò più mai; ma con forti posti occupò le uscite; pose i mangani a scagliar contro le porte una tempesta di sassi(286). Scese anco il superbo a tentar la fede d'Alaimo, senza comprendere che da tanta altezza di virtù non si precipita al più schifo ed esecrando vitupero della tradigione. Offrivagli occultamente: perdonata ogni colpa a Messina, fuorchè a sei de' più facinorosi; a lui diecimila once d'oro, rendita di annue once dugento, onori e dignità a suo grado: mandavagli pergamena bianca col suggello reale: Alaimo scrivesse. E Alaimo, fattagli fiera risposta, tornava ad esortare i cittadini; tornava a provveder le difese: e a rallegrar la plebe afflitta dallo stretto blocco, apriva i granai occultati da antiveggenza nei primi tempi. Del resto non si patì penuria; sovvenendo anco la pescagione, sì abbondante che Bartolomeo de Neocastro l'appone a miracolo(287). Messina vincitrice rideasi ormai dell'assedio, quando l'avvenimento di Pier d'Aragona l'accelerò a lietissima fine.
CAPITOLO VIII.
Cagione della debolezza del governo preso nella rivoluzione. Si pensa a Pier d'Aragona. Sua partenza di Catalogna per Affrica; fatti militari; ambasceria a Roma. Parlamento in Palermo, che sceglie Pietro a re. Com'ei guadagna gli animi de' suoi, e accetta la corona. Viene a Trapani. È gridato re in Palermo. Disposizioni per soccorrer Messina; oratori di Pietro a Carlo; ultimi fatti d'arme nell'assedio. Carlo sen ritrae con perdita e onta. Giugno a settembre 1282.
Degno argomento è di considerazione come venendo re Carlo sopra la Sicilia, debolmente qui si reggesse lo stato, poco appresso rivoluzione sì violenta, e mentre le municipalità vigorosamente operavano.
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