Vietava Carlo al figliuolo qualunque fazione pria ch'egli venisse di Provenza con la flotta(480). Trenta galee tenea pronte il principe a Napoli, quaranta a Brindisi. Entro pochi dì, operata la congiunzione di tutta l'armata ad Ustica(481), cento navi da battaglia e più assai da trasporto, verrebbero a por la Sicilia a soqquadro.
A tempo il seppe Giovanni di Procida, gran cancelliere, pei suoi molti rapportatori che in terraferma vegliavano assidui il nimico. Onde nel consiglio della regina, considerato il grave frangente; lungi il re; non esercito pronto; poca l'armata, l'audace partito si deliberò in cui solo era salvezza: assaltare gli Angioini risolutamente pria che tutte adunasser le forze. A ciò trentaquattro galee e più legni minori s'armano in fretta nel porto di Messina, di scelta gente catalana e siciliana, di finissime armi, di nobili arredi. Come la flotta fu in punto, Costanza fatto a sè venire, coi capitani minori e i piloti, l'ammiraglio, nudrito seco del medesimo latte, educato in sua corte, con vive parole rimembragli l'affetto della casa reale d'Aragona: tutto per lei andarne su quest'armata; l'onor del re, la corona, sè stessa e i figliuoli a due soli commetteva, a Dio e a Ruggier Loria. A questo dire le s'inginocchiava ai pie' l'ammiraglio, e co' riti dell'omaggio feudale, poste le sue nelle mani della regina: "Non fu unque vinto, le rispose, lo stendardo reale d'Aragona; nè oggi il sarà. Fidane, o regina, nel sommo Iddio." Non senza lagrime allora gli altri guerrieri giurarono; li accomiatò Costanza; li salutò il popolo allo scioglier dal porto; e a Dio, alla Vergin Madre ne pregavan vittoria.
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