Indi nè ragione, nè autorità il trattenne del cardinal Gherardo, il quale, non perduta la memoria di quelle aspre battaglie di Messina, ammonialo ad esser cauto contro i Siciliani, ubbidire i comandi del padre, aspettare l'armata e con essa la vittoria; non si gittasse al laccio tesogli da Ruggier Loria. Ma da queste parole anzi aizzato, più ratto il principe s'imbarcò: e prima ordinò d'imbandire a corte uno splendido convito per festeggiar la vittoria. Con lui furono Iacopo de Brusson vice ammiraglio, Guglielmo l'Estendard, Rinaldo Galard, i conti di Brienne, Montpellier e Acerra, frate Iacopo da Lagonessa, e più altri baroni. A ventotto o trenta sommarono le lor galee, tutte del regno; armate le più di regnicoli, poche di Provenzali e Francesi.
Loria allora quasi fuggendo si difilò a Castellamare, per guadagnar l'avvantaggio del sole alle spalle, o per trarre in alto mare i nemici, e lasciarli disordinar nella caccia. Schiamazzando e urlando l'inseguon essi: volano innanzi a tutte le altre, due galee capitanate da Riccardo Riso e Arrigo Nizza, Siciliani rinneganti la patria, che chiamano Loria a gran voce, ed "Ove fuggi eroe? gridangli; ma invano t'involi, invano; vedi, i tuoi ceppi son qui!"; e mostrangli le catene. E muti i nostri a vogare. A quattro leghe restano; rivoltan le prore; l'ammiraglio in un battello scorreva a rincorarli: "Mirateli, scompigliati da sè stessi; gente che non vide armi, o non vide mare giammai: gridan essi, e noi feriremo." A linea di battaglia ordinò venti galee, serrate tra loro; fe' rassettare i remi, sgombrar le coverte; schierovvi i balestrieri; il rimanente delle navi pose a retroguardo, che non entrasser nella mischia senza un estremo bisogno.
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