Allor si die' nelle trombe; levossi il grido "Aragona e Sicilia:" e piombò la nostra armata su i nemici, già a tal variar di consiglio attoniti e palpitanti.
E ruppeli in un attimo; chè, non aspettato lo scontro, diciotto galee di Napoli, Sorrento, e Principato diersi a fuggire; lasciando solo il principe con la sua galea, e quattro di Napoli, due di Gaeta, una di Salerno, una di Vico, una di Scio, a disputar l'onore, non più la vittoria. I Francesi, ancorchè non avvezzi nè fermi in nave, combatteano con maschio valore. Più numerosi e franchi al maneggiar le navi, Catalani e Siciliani urtavan di prua, spezzavano i remi al nimico, gittavan fuochi alle tolde, sapone e sego sui banchi, polvere di calce alle viste, scagliavan sassi e saette: e pure gran pezza non li spuntarono dalla difesa. La strage indi si mescolò; spenta gran parte di quei prodi cavalieri di Francia, il numero vinse. Sola restava la galea del principe: accerchiata, squarciata, invasa da' nostri la prua, e mezza la nave; ma un fior di gagliardi stretti a schiera intorno al principe, che piccino e zoppo mal s'aiutava, fecero incredibili prove; e sopra tutti Galard, uomo d'erculee forze, quanti colpi tirava tanti feriva o uccidea, o di peso scaraventava gli uomini in mare. A tal pertinacia, Loria comanda che si sfondi la nave; e i nostri già saliti le dan d'entro coi pali; un Pagano, trombetto e marangone fortissimo, attuffò per bucarla con un ferro: rotta in sei luoghi calava la galea, gridavano i marinai, ma non udianli i combattenti.
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