Di documenti non avvi altro che il mandato del supplizio d'Alaimo nell'ottantasette, sì scuro(534), che, se delitto prova, è di Giacomo, il quale senza forme di giudizio assassinò il glorioso vecchio. Portò costui la pena d'aver puntellato di tutta la sua riputazione re Pietro contro Gualtiero di Caltagirone e' sollevati dell'ottantatrè. E del rimanente furon sole sue colpe, gli obblighi di casa d'Aragona, la gloria della difesa Messina, del dato reame, la riverenza e amor di tutta Sicilia, la grandezza con poca modestia, e sopra tutto l'invidia di Procida e Loria, non cittadini ma venturieri, pronti a sagrificare ogni cosa a chi lor dispensava beni e comando.
Mentre que' primi casi d'Alaimo travagliavano la Sicilia, re Carlo consumava le forze del regno e sè stesso, nel delirio di tornar sopra l'isola. Ritirandosi, inseguito dall'armata nostra, sostò pochi giorni a Cotrone; ove crebbe a cento doppi lo scompiglio de' moltissimi disertori: e indi tutto dispettoso e truce passò il re a Brindisi(535); e trovò per conforto gli avvisi d'un altro insulto di quel Corrado di Antiochia, che adoprò sì caldo nell'impresa di Corradino. Costui, adunati esuli del regno e altra gente presso i confini, ove imperava in nome la Chiesa, in effetto ogni sfrenato feudatario o ladrone, entrò a mano armata in Abruzzo al racquisto della contea di Alba. Il conte di Campania li fronteggiò e ruppe(536): ei rife' testa, aiutato di danari dalla reina Costanza(537). Un Adinolfo surto in quel tempo stesso a turbar la Campania, disfatto fu da Giovanni d'Eppe con le genti pontificie.
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