E per vero i cavalier catalani, maneggevoli d'altronde, e or più per sentire il fuoco in casa, tra non guari vennero disperati a pregarlo un dì a Barcellona che li conducesse pur contro il nimico; ai quali Pietro fermo rispondea: stare in questa guerra ei solo da una parte, tutto il mondo dall'altra; e con tutto ciò potrebbe da' presenti danni lampeggiar fuori più viva gloria, se gli uomini non poltrissero. Non era, no, aggiugnea, vergogna di Pier d'Aragona tal nemico guasto di tutta la Catalogna. Ei, sol che avesse un destriero e una spada, saprebbe viver lieto quanto niun cavaliere; e nulla era il regno a lui, ma molto a' Catalani lo giogo straniero: però non comandava, non isforzava; se voleano, s'armasser pure, ed ei mostrerebbe come farsi la guerra. Ubbidito, ordinolli in due grosse poste a Besalu e ad Hostalric, a fianco del nemico. Talchè punti dagli atroci oltraggi del Francese, adescati dal bottino, i Catalani diersi a infestar tutto il paese intorno intorno all'esercito. La lega d'Aragona pur si mosse a mandar qualche picciolo aiuto. E Pietro a poco a poco levandosi, e pensando anco al mare, inanimito dagli audacissimi fatti de' suoi corsari, lasciò salpar di Barcellona l'armatetta regia, capitanata da Ramondo Marquet e Berengario Mallol(622).
Ma ne' vasti comprendimenti di Pietro, le fazioni navali, non che restarsi a tal corseggiare, eran parte principalissima di questa guerra; perchè sul mare avrebbe meglio bilanciato le forze l'armata siciliana, sulla quale ei facea molto assegnamento, per le fresche vittorie di Malta e di Napoli, e le genti audacissime, pratiche, leste, la straordinaria virtù dell'ammiraglio.
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