Adinolfo il leggea. Era mandato del principe, che dicea costar all'eccellenza di lui, com'Alaimo di Lentini, Adinolfo di Mineo, e Giovanni di Mazarino tramaron già iniqua e ineffabile cospirazione contro i reali e l'isola di Sicilia, ed eran rei sì d'altri misfatti; ondechè giudicandosi il viver loro in prigione, pericol sommo dello stato, la cui pace vuolsi con severissima giustizia serbare; commettea il re a Bertrando di ripigliarli di Catalogna, e mazzerarli al primo scoprir la Sicilia.
Non maravigliò Alaimo, nè tremò della morte; nè con vane parole toccò il passato, o si querelò; se non che risentiva l'acume di crudeltà che volle comandare tal supplizio a tal vista, e negargli sepoltura sulla terra degli avi. Del resto nella rassegnazione del vangelo, pregava salute al re, a' carnefici stessi, e: "Una vita, dicea, di miserie e di pianto trassi infino a vecchiezza, e inonorata or chiudo. A me stesso non mai, ad altrui sol vissi; per altrui muoio. Peggio ch'uomo non creda (e pensava forse alla esaltazion di Pietro e allo spento Gualtiero), peggio ch'uomo non creda io misfeci, e merito più cruda morte che questa. Essa almen sia pace alla patria, e fine ai sospetti." Indi ei stesso chiede la banda di tela, preparata per istromento al supplizio e coltrice insieme e bara dell'eroe di Messina; vel fasciano e serrano i manigoldi; e il traboccano in mare. Così anco i due giovani periano. Approdò a Trapani la scellerata nave; e per tutta Sicilia si disse con orrore della fine d'Alaimo.
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