I sospetti poi toccò di que' provvedimenti del governo regio in Sicilia; l'aperta frode del profferire all'infante Federigo l'uficio di senator di Roma, per trarlo dall'isola. Nè sperasse il re ferma pace in Aragona, in prezzo de consegnar legato mani e pie' un generoso popolo; nè sperasse cansar da infamia il suo nome. Se pure, ei ripigliò, il gravava questo combattuto regno, perchè non lasciarlo provveder a sè da sè stesso, dando la corona a Federigo, non per dritto di successione, ma per elezion del popolo, lietissimo auspicio a chi unquemai la Sicilia reggesse? E se tremassero Giacomo e Federigo e tutti i reali d'Aragona, chiamerebbero i Siciliani un altro Federigo, rampollo della casa di Svevia; troverebbero i più disperati partiti, pria che abbassar le aquile dianzi agli abborriti gigli(758): e se Iddio non benedicesse le armi loro, affranti alfine e debellati, vibrerebbero gli ultimi colpi ne' petti de' propri figliuoli e delle donne; sè stessi con quelle care vittime scaglierebbero nelle fiamme delle città. Ma Giacomo non se ne mosse. Lodò i legati di zelo; lodò i suoi propri maggiori di fede ai popoli: ei, nato di quel sangue, non che non abbandonar la Sicilia, combatterebbe per lei finchè gli restasse spirito di vita(759). Con questo focoso parlare accomiatolli: e non andò guari che di novembre, abboccatosi tra Junquera e Paniças con re Carlo, fermò i patti, a sè più avvantaggiosi, verso la Sicilia più rei, che que' d'Alfonso, maladetti da lui medesimo, tre anni prima.
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