Esposta la domanda del sicilian parlamento, il re senza vergogna confessava il trattato. A che Cataldo Rosso: "O voi, sclamò, o voi passaggieri, sostate; oh dite se v'ha duolo ch'agguagli il duol mio(787)!" e dopo tal biblica lamentazione, in un coi compagni e i famigliari della siciliana ambasceria, stracciaronsi i panni indosso, ruppero a dimostrazioni d'angoscia disperata, e a Giacomo gridavano: "Non più udita crudeltà, che un re desse leali sudditi a straziare a' nimici!" Ma poich'ebbero così aggravato il biasimo del principe, ricomposti a dignità ed alterezza, protestarongli in piena corte: come la Sicilia abbandonata, disdicea tutti i dritti di lui alla corona; scioglieasi da ogni giuramento, fede ed omaggio; si tenea libera a prendere qual governo più bramasse. Fu forza al re quella protestazione accettare; e ne voller diploma gli ambasciadori, e l'ebbero. Lo stesso dì, vestiti a bruno, volgean le spalle all'infida corte straniera. Ma pria Giacomo ebbe fronte a dir loro, ch'accomandava ai Siciliani la madre e la sorella. "Di Federigo nulla parlo, aggiugnea, perch'è cavaliere, e ciò che fare ei sel sa, e voi il sapete anco." Almen così Federigo propalò poi in Sicilia. Incontraron gli ambasciadori, sciogliendo per l'isola, fierissima fortuna di mare, che dilungò il ritorno, e 'l tolse a Santoro Bisalà, sbalzato sulle costiere di Provenza, e tenutovi prigione finchè nol ricattarono i suoi Messinesi concittadini(788). E in Catalogna il trenta ottobre Giacomo fu ribenedetto dal legato pontificio, egli e 'l reame; bandì nelle adunate corti d'Aragona il fine della gran lite di Sicilia; lo stesso dì Carlo II a lui e alla madre e a Federigo e a Piero con tutta lor baronia e amistà rimettea le offese fatte, le robe occupate a sè ed a suoi ne travagli della guerra.
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