Nè andò guari che il re, spiegando la prima volta in guerra, l'insegna delle sveve aquile nere in campo bianco inquartate con l'addogato giallo e vermiglio di casa d'Aragona, passò lo stretto, con fortissim'oste, e fu accolto in giubilo a Reggio(812). Perchè questa e altre città di Calabria eran rimase in fede della nazione siciliana, non ostanti gli ordini di Giacomo. Più se ne eran perdute; a ridur le quali non bastava, per aver poche genti, il pro Blasco Alagona; ma le tenea in sospetto, e stringeva Squillaci.
Su questa marciò dunque Federigo, poich'ebbe fatta la massa a Reggio. E al primo scorger la postura di Squillaci, domanda s'abbia altre acque che delle due riviere a pie del colle; e sapendo che no, fatte venir le genti dell'armata, le sparge sulla ripida costa che dalla città pende sul fiume, occupa intorno tutti i passi. Dondechè i terrazzani sitibondi, brucianti, che guardavan dall'alto la limpida corrente del rivo, e lor era vietata, disperatamente uscirono ad azzuffarsi co' nostri; ma rotti da Matteo di Termini, e rincacciati entro le mura, per non trovare altro scampo al morir dalla sete, s'arresero a Federigo(813). Lasciata Squillaci, ei sostò alquanto presso Rocchella, per deliberare i movimenti della guerra contro il conte Pietro Ruffo, che s'era afforzato in Catanzaro, ubbidito alsì da tutta la provincia.
Quivi s'accese tra i nostri capitani una lagrimevole discordia. Perchè Ruggier Loria, grandissimo di fama, d'avere e d'orgoglio, pensava troppo d'essere primo o solo sostegno del nuovo principato: e allettandolo le arti di Giacomo e de' nemici, che profferian alto stato a lui e a Giovanni di Procida e a tutt'altri stranieri gittatisi nella siciliana rivoluzione, tanto teneva ormai l'ammiraglio per Federigo, quanto questi e 'l reame di Sicilia si reggessero del tutto a sua posta.
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